1. Overtura: autarchia linguistica e guerra ai forestierismi

 

“Oltre di questo io voglio che tu consideri, come le lingue non possono esser semplici, ma conviene che sieno miste coll’altre lingue; ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale converte i vocaboli ch’ella ha accattati da altri, nell’uso suo, ed è sì potente, che i vocaboli accattati non la disordinano ma la disordina loro, perchè quello ch’ella reca da altri, lo tira a se in modo, che par suo”

Niccolò Machiavelli, Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua

 

La teoria linguistica che prospera sotto il fascismo è il cosiddetto neopurismo. In controtendenza alle teorie precedenti, il neopurismo considera la lingua un fenomeno inscindibile dalla comunità che la utilizza e le riconosce un ruolo fondamentale nel normare la realtà. Allineandosi in pieno col carattere nazionalista del fascismo, questa nuova forma di purismo identifica nella lingua italiana la lingua della nazione e dichiara guerra a tutto ciò che potrebbe corromperla. Due sono i “fronti” che vengono identificati: quello interno, costituito dai dialetti e dalle lingue minoritarie parlati sul territorio, e quello esterno, ovvero i termini stranieri utilizzati nella lingua comune. Inizieremo ad analizzare questa seconda area d’azione in parte perché è il caso di studio più semplice tra i tre, in parte perché è sulla lotta ai forestierismi che si affinano le armi teoriche poi utilizzate per giustificare l’azione sulle varietà altre.

Allineandosi perfettamente all’atteggiamento protezionista in campo economico, la politica linguistica fascista prende di mira come primo obiettivo i forestierismi, ovvero i termini di origine straniera presenti nella lingua comune. All’epoca la maggior parte di tali termini era costituita da adattamenti dal francese, anche se l’inglese stava filtrando sempre più attraverso le lingue speciali (ad esempio la lingua del calcio).

A fornire una base teorica a questo processo interviene Bruno Migliorini che nel 1940 definirà il neopurismo come la “tendenza ad escludere dalla lingua quelle voci straniere e quei neologismi che siano in contrasto con la struttura della lingua, favorendo, invece, i neologismi necessari e ben foggiati”. Nell’idea di Migliorini una élite intellettuale depositaria di “buon gusto” linguistico dovrebbe assumersi l’incarico di agire sulla lingua determinando quali parole siano adatte all’italiano e quali no. Il metodo per portare a termine questo compito è un’altra invenzione di Migliorini: la glottotecnica, ovvero un procedimento che valuta le caratteristiche fonologiche e morfologiche di un termine straniero e stabilisce la sua utilità al lessico italiano. Laddove un termine si riferisca a un concetto non altrimenti espresso in italiano, si può procedere all’adattamento fonologico e morfologico e introdurlo nella lingua come neologismo. E se c’è chi, come Arrigo Castellani, difende questa metodologia esaltandone il carattere non discriminatorio in quanto basato su criteri interni alla lingua e non esterni (Castellani 1979), è pur sempre vero che gli strumenti privilegiati da Migliorini per rendere operative tali scelte rimarranno la censura linguistica e la coercizione applicate in ambito di insegnamento scolastico (Cardia 2008, pag. 50).

Il programma di bonifica linguistica dell’italiano prende avvio in sordina nel 1923 con il decreto n.352 che introduce una tassa sulle insegne straniere tra il plauso di alcuni linguisti e giornalisti, quali Tommaso Tittoni, che vedevano in questa decisione un modo per salvaguardare l’identità e il prestigio nazionale. Nel 1930 viene vietato il cinema straniero e diversi giornali cominciano una campagna in favore dell’eliminazione dei forestierismi: nel 1932 “La Tribuna” (Roma) bandisce un concorso a premi per le migliori sostituzioni di 50 parole straniere, mentre la “Gazzetta del Popolo” (Torino) nel 1933 affida a Paolo Monelli la rubrica Una parola al giorno in cui ogni giorno l’autore fornisce l’equivalenza italiana di un termine straniero di uso comune. Monelli, uno da cui perfino Migliorini prenderà le distanze definendo il suo lavoro di censura linguistica privo di obiettività (per dire), pubblicherà poi un libro dal titolo Barbaro dominio in cui raccoglie la lista di proscrizione dei termini da vietare. Il titolo è ripreso dal Principe di Machiavelli e fa riferimento in maniera polemica a un’altra opera del Machiavelli, il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, in cui questi difendeva l’utilità dei forestierismi. Commentando soddisfatto il proprio lavoro, Monelli dichiarerà: “Tale campagna è stata lodata per la chiarezza fascista che l’ha animata: più bella lode non le si poteva fare” (Monelli, epigrafe a Barbaro dominio, 1933).

Nel 1934 si vieta l’uso di forestierismi nei giornali e dal 1936 in avanti, seguendo le vicende politiche italiane e complice una serrata propaganda xenofoba in seguito alla rottura delle relazioni internazionali, anche enti quali ad esempio il Touring Club Italiano vengono obbligati a sostituire il loro nome, divenuto ora Consociazione turistica italiana. Facendomi interprete del Monelli-pensiero suggerisco anche Alpinismo arlecchino incendiario e Radio temporanea mancanza di energia elettrica.

Nel 1938 il decreto n. 2172 vieta i nomi stranieri nelle insegne dei locali pubblici e l’anno dopo il decreto n. 1238 impedisce l’uso di nomi propri stranieri per i neonati di nazionalità italiana. Nel 1940 (decreto n. 2042) si proibisce l’esposizione di parole straniere in qualsiasi forma (insegne o pubblicità) e nel 1942 col decreto n. 720 l’Accademia d’Italia viene ufficialmente incaricata di stilare delle liste di sostituzioni ufficiali dei termini stranieri.

L’Accademia d’Italia (oggi Accademia dei Lincei) nomina dunque una Commissione per l’italianità della lingua, formata per metà da professori universitari e per metà di membri del direttivo del Partito Nazionale Fascista, avente il compito di valutare singoli termini e decidere se sia lecito o meno utilizzarli in italiano. Nel biennio 1941 – 1943 vengono proposte circa 1500 sostituzioni in parte pubblicate sul suo “Bollettino d’informazioni” (Klein 1986) e in parte in appendice all’ottava edizione del Dizionario moderno di Panzini (Panzini 1942). La discussione accademica su alcuni di questi termini è stata accesissima e ci ha regalato termini quali arlecchino per “cocktail”, quisibeve o taberna potoria o ber per “bar”, slancio per “swing” (il ballo) e (udite udite) ferribotto per “ferryboat”. Ma l’estro creativo non si ferma qui e va a colpire anche quei termini colpevoli di essere formati dalla giustapposizione di un sostantivo e di un aggettivo di nazionalità: è il caso per esempio dell'”insalata russa” che viene trasformata in una più patriottica insalata tricolore o della “chiave inglese” che diventa chiavemorsa (Cardia 2008, pagg. 43 – 45; Foresti 2003; Klein 1986).

Alcune importanti eccezioni sfuggono alla furia censoria fascista: secondo il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, camerata è infatti un adattamento linguistico dallo spagnolo camarada indicante una grande stanza dove soggiornavano i soldati e poi passato a indicare per metonimia il gruppo di soldati che vi alloggiavano. Non pensiate che la questione su questo termine sia banale: basta una semplice ricerca su un qualsiasi motore per entrare in un mondo inquietante, fatto di “fascisti del XXI secolo” che propongono di sostituire il termine con quirite (voi ridete ma qui si rischia di dover iniziare a usare antiquirite), e di gente che sulla traduzione del russo továrišč (товарищ “compagno”) tira in ballo delle teorie così fantasiose, che l’ipotesi che vuole il basco la lingua degli alieni al confronto è scienza.

Quasi nessuna di queste soluzioni verrà mantenuta dopo la caduta del fascismo, a parte termini quale regista e autista proposti da Migliorini, e anche la monumentale opera di un nuovo dizionario della lingua italiana a cura dell’Accademia d’Italia si interrompe alla lettera C. Ogni termine avrebbe dovuto contenere esempi d’uso tratti dalla letteratura italiana e almeno un esempio tratto da un discorso o uno scritto di Mussolini.

Secondo Nicola Cardia, la funzione della Commissione è quella di assicurasi il controllo burocratico della politica linguistica e, attraverso questa, imporsi come forza egemonizzatrice della vita culturale del paese. Il processo di normativizzazione della lingua è stato portato avanti in direzione univoca dalla classe al potere con la chiara intenzione di controllare l’accesso a questo strumento da parte delle classi socialmente più svantaggiate (Cardia 2008, pagg. 49 – 52).

A mio parere inoltre, sembra nel migliore dei casi ingenuo pensare che mostri sacri della linguistica quali Migliorini abbiano avvallato questo processo in maniera del tutto inconsapevole rispetto al contesto politico nel quale si sono trovati ad operare. Il sostegno che il fascismo ha dato a queste figure accademiche è innegabile e credo che da entrambi i lati ci fosse la consapevolezza delle ragioni per cui questa guerra agli esotismi è stata combattuta. Migliorini tornerà dalla Svizzera in Italia nel 1938, in seguito alla creazione presso l’Università di Firenze di una cattedra in Storia della lingua italiana (prima in Italia) che gli viene assegnata; e se è sicuramente innegabile che una simile disciplina ha un suo motivo di esistere separatamente dallo studio delle lingue neolatine, dovremmo essere davvero ciechi per non ammettere che l’amore spassionato per la ricerca non è il motivo per cui il  regime ha creato quella cattedra. L’opera di pianificazione fascista è stata attivamente sostenuta da grandi figure della linguistica italiana, le quali, per motivi diversi, erano genuinamente convinte della sua bontà. Non  si può studiare una politica linguistica scindendola dal contesto socio-politico in cui viene costruita e non si può di conseguenza pensare che chi ha contribuito allo sviluppo di questa pianificazione non sia conscio di tale contesto.

Per fascisti del terzo millennio e rigurgiti vari lo studio della guerra ai forestierismi e dello stile comunicativo di Mussolini riassumono più o meno l’intera politica linguistica fascista. E non per caso. Finché si tratta di fornire traduzione strampalate come ferribotto o di gonfiare il petto urlando verbi in forma infinita, non c’è molto di cui preoccuparsi. Ma il caso di studio degli esotismi è a mio parere fondamentale perché permette di spiegare in maniera efficace l’ideologia linguistica del regime. Citando Gabriella Klein: “il dibattito su questi problemi di politica linguistica ha come retroterra ideologico la vecchia questione della lingua con le sue convinzioni puristiche e nazionalistiche basate sull’equiparazione (storicamente non provata) fra lingua e nazione, fra lingua e popolo” (Klein 1986, pag. 22). L’equivalenza “una nazione = una lingua” determina conseguenze ben più gravi della lotta ai forestierismi e quando si tratterà di sradicare l’uso dei dialetti al sud Italia o di eliminare le minoranze linguistiche alpine e slave, il fascismo si muoverà in maniera molto meno goffa.

 


Riferimenti

Cardia, Nicola, “Il neopurismo e la politica linguistica del fascismo” in Ècho des ètudes romane, Vol. IX, num. I, 2008, pagg. 43 – 54.

Castellani, Arrigo, “Neopurismo e glottotecnica: l’intervento linguistico secondo Migliorini” in L’opera di Bruno Migliorini nel ricordo degli allievi, Firenze, Accademia della Crusca, 1979, pagg. 23 – 32.

Foresti, Fabio, Credere, obbedire, combattere: il regime linguistico nel Ventennio, Vol. 77, Edizioni Pendragon, 2003.

Klein, Gabriella, La politica linguistica del fascismo, Vol. 26, Bologna, Il Mulino, 1986.

Migliorini, Bruno, La lingua italiana nel Novecento. Con un saggio introduttivo di Ghino Ghinassi (a cura di Fanfani, Massimo Luca), Firenze, Casa editrice Le Lettere, 1990.

Monelli, Paolo, Barbaro dominio: processo a 500 parole esotiche, Milano, Hoepli, 1933.

Panzini, Alfredo, Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni, ed. postuma a cura di A. Schiaffini & B. Migliorini con un’appendice di cinquemila voci e gli elenchi dei forestierismi banditi dall’Accademia d’Italia, Milano, Hoepli, 1942.

Raffaelli, Sergio, Le parole proibite. Purismo di Stato e regolamentazione della pubblicità in Italia (1812-1945), Bologna, il Mulino, 1983.

La versione online dell’Enciclopedia dell’Italiano edita da Treccani (2011) contiene una voce dedicata al neopurismo compilata da Massimo Fanfani.

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