“Perché non hai detto no?” – pragmatica del rifiuto e violenza di genere

 

“Ma via, la tua spada riponi
ora nel fodero; e poi saliam sul mio letto: ché quivi
nei cuor d’entrambi induca fiducia l’amplesso d’amore”

Circe ad Ulisse
sugli indizi sottili con cui una donna
vi fa capire che vuole portarvi a letto

Odissea, Libro X, traduzione di Ettore Romagnoli (1926)

Disclaimer: nell’articolo si fa riferimento alla violenza di genere come ad un meccanismo perpetuato unicamente su donne da parte di uomini. Sono perfettamente consapevole che questo non cattura la complessità del fenomeno; gli studi linguistici sul rifiuto, tuttavia, si sono occupati solamente di questa dimensione. L’accademia statunitense sta via via allargando l’indagine anche a situazioni che non coinvolgono solo persone cis-gender ed eterosessuali. Restate connessi per ulteriori aggiornamenti.


Emile Levy – Circe

La nozione di linguaggio come elemento costitutivo del reale è vecchia quanto Bakthin (1981), Bourdieau (2003), Foucault (1969), Voloshinov (1976), e altri che non nomino per mancanza di tempo e spazio. La mia esperienza è che chi nega questo fatto solitamente o non è consapevole della (o non ha mai riflettuto sulla) questione, oppure utilizza la scusa del “non è attraverso il linguaggio che cambiamo la società” come dito dietro cui nascondere sessismo/razzismo/classismo/ableismo e qualsivoglia tipo di discriminazione. L’idea che il linguaggio non abbia ripercussioni sul nostro quotidiano e non abbia posto nelle lotte è datata, non supportata dalla ricerca (quasi tutta sviluppatasi in correnti teoretiche che non sono facilmente liquidabili come “borghesi” o “liberal”) e si basa sull’idea che esistano “le cause giuste” e il resto – ovvero tutto quello che può essere posposto alla rivoluzione.

Uno dei compiti della linguistica è spiegare COME il linguaggio ha un effetto sulla nostra vita quotidiana. E in onore della giornata di oggi e di tutte le compagne che stanno lottando, ci occuperemo di un caso esemplare di come la nostra percezione del parlato quotidiano abbia delle ripercussioni enormi sulle nostre vite e sulle nostre lotte. Attraverso l’analisi conversazionale e l’analisi critica del discorso smonteremo la retorica del rifiuto all’interno della dinamiche di genere.

La retorica del rifiuto

Al di là dei numerosi altri fattori da considerare nel rispondere alla domanda (meccanismi di socializzazione, sessismo istituzionalizzato, rapporti di potere e gerarchie di genere, etc.), il modo in cui concepiamo la violenza di genere ha a che fare con un meccanismo chiamato framing (Lakoff and Johnson 1980), ovvero il modo in cui ci viene presentato un concetto. Centrale nell’educazione (formale e non) di moltissime è stata l’idea che “a dire no” (l’atto linguistico del rifiuto) si possa imparare, e che dire di no ci metta al riparo da situazioni di violenza. Attraverso il ripetuto framing del concetto di consenso come l’atto di poter esercitare il proprio rifiuto, è filtrata nella società questa idea che “basta dire no” in maniera convinta per segnalare all’altro che non vogliamo avere un rapporto.

“Basta dire di no” è un messaggio pervasivo e tossico, che una parte del movimento femminista (non italiano) ha visto per un certo periodo come una strategia di empowerment femminile. Riappropriarsi del rifiuto come strumento per riprendere controllo dei propri desideri e del proprio corpo, e di far valere i propri bisogni. Questo tipo di approccio poggia sulla convinzione che la violenza di genere sia il risultato di un errore di comunicazione tra la vittima e l’autore della violenza, che non è in grado di cogliere gli indizi verbali e non verbali che gli vengono proposti (Tannen 1991). Il corollario a questa posizione è l’idea che esista una differenza sostanziale nel modo in cui uomini e donne recepiscono il rifiuto, e che uomini e donne abbiano diversi stili di interagire che fanno sì che nella comunicazione tra i due generi si creino degli spazi di incomprensione. Inutile dire che questa interpretazione è inaccettabile (per non dire questo).

Come diciamo di no

Rifiutare una richiesta più o meno esplicita non è facile. Opporre e accettare un rifiuto è una pratica sociale raffinata e complessa, che richiede una serie di capacità interazionali specifiche: non vogliamo offendere la nostra interlocutrice, vogliamo che mantenga un’idea positiva di noi, non vogliamo sembrare troppo dirette (Goffman 1971).

Lo studio di una serie di conversazioni quotidiane ci restituiscono l’idea che nella realtà di tutti i giorni noi non “diciamo di no”, ma utilizziamo diverse strategie per esprimere la stessa idea (Kitzinger & Frith 1999). Le più comuni includono:

  • pause o ritardi nella risposta, spesso accompagnate da segni di comunicazione non verbale quali sorrisi, spostamento dello sguardo, e movimenti delle mani volti a segnalare che siamo occupate con altro. Una lunga pausa dopo un’offerta è un segnale chiaro che la nostra interlocutrice non è interessata.
  • tentennamenti, espressioni come “mmm”, “ehm”, seguiti a volte da pause.
  • palliativi, ovvero frasi dette con l’intenzione di riparare all’eventuale torto fatto all’interlocutrice. Espressioni come “magari domani, oggi non posso”, o il grande classico milanese “ci becchiamo per un aperitivo uno di questi giorni”.
  • giustificazioni, dette con l’obiettivo di sembrare “impossibilitate” a fare qualcosa, e non “non desiderose” di farla.

La lista potrebbe essere più lunga, ma il punto della questione è che se qualcuno mi invita ad andare a bere una birra e io rispondo “ah cavolo domani sera? eh sì forse ho da fare, ti tengo aggiornato. dammi il tuo numero che ti scrivo io”, a voi non serve un “no” per capire dove sto andando a parare. Per avere un’idea delle dimensioni quantitative del fenomeno, in uno studio sulle strategie di rifiuto utilizzate dai parlanti italiani, su 395 occorrenze di atti che segnalano rifiuto da parte di un interlocutore, solo nell’1,8% dei casi notiamo un rifiuto netto (“No”, “No grazie”) (Frescura 1997).

Sebbene ci siano degli stili di interazione preferiti dalle donne (vengono usati più tentennamenti e meno formule di rifiuto netto), non c’è alcun dato che dimostri come gli uomini non siano in grado di comprendere un rifiuto, anche quando questo è formalmente espresso da un “sì”. Esempio: “andiamo al cinema?” “sì son già là”. Se non capite il significato di questa frase, o non siete dei parlanti madrelingua, oppure siete un software di traduzione automatico basato su regole (in tal caso, distopie tecnologiche permettendo, non avete bisogno di imparare cosa sia il consenso).

La ricerca suggerisce che le conversazioni siano complesse, “sì” può voler dire “no” e “no” non deve essere necessariamente un rifiuto. Che cosa implica tutto questo per la lotta alla violenza di genere? Implica il fatto che le donne tendono a non opporre un rifiuto netto alla richiesta di prestazioni sessuali in parte perché “dire semplicemente di no” non è normale in nessun contesto quotidiano. Il sesso viene rifiutato attraverso quelle stesse strategie che sono tranquillamente riconosciute dagli uomini eterosessuali nella vita di tutti giorni. Dire che la mancanza di un rifiuto netto rende impossibile ad un uomo di capire che una donna sta negando il proprio consenso equivale a dire che il suddetto uomo non è in grado di interpretare normali meccanismi di comunicazione che utilizza ogni giorno (Kitzinger & Frith 1999).

E se non capite il 98% delle vostre interazioni giornaliere, magari è tempo di prendere in considerazione l’ipotesi che siate un calcolatore elettronico degli anni ’70.

 


Riferimenti

Bakhtin, M. M. (1981). The dialogic imagination: Four essays (Vol. 1). University of texas Press.

Bourdieu, P. (2003). Per una teoria della pratica: con tre studi di etnologia cabila, tr. it. Cortina.

Foucault, M. (1969). L’archeologia del sapere, tr. it. Rizzoli, Milano.

Frescura, M. (1997). Strategie di rifiuto in italiano: uno studio etnografico. Italica, 74(4), 542-559.

Goffman, I. (1971). Relations in Public. New York: Harper and Row, 19

Kitzinger, C., & Frith, H. (1999). Just say no? The use of conversation analysis in developing a feminist perspective on sexual refusal. Discourse & Society, 10(3), 293-316.

Lakoff, G., & Johnson, M. (1980). Metaphors we live by. Chicago, IL: University of.

Tannen, D. (1991). You Just Don’t Understand: Women and Men in Conversation. London:Virago.

Volosinov, V. N. (1976). Marxismo e filosofia del linguaggio (Vol. 43), tr. it. EDIZIONI DEDALO.

Bibliografia per approfondire

Cameron, D., and Don Kulick. (2003). Language and Sexuality. Cambridge: Cambridge University Press. – per un’analisi della feticizzazione del “no” e di come il rifiuto netto da parte di una donna venga interpretato come un invito a farle cambiare idea

Ehrlich, S., Holmes, J., & Meyerhoff, M. (Eds.). (2017). The handbook of language, gender, and sexuality. John Wiley & Sons.

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