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Raccontare una rivolta: lingua russa e alfabeto latino in Kazakistan

venerdì, Gennaio 28th, 2022

Gli avvenimenti del gennaio 2022 sono stati per qualcuno la prima volta che si sentiva parlare del Kazakistan in termini diversi da Borat o dall’Unione Sovietica. Nel giro di un paio di settimane il mondo ha realizzato che l’Asia Centrale non è un’entità monolitica allineata agli interessi della Russia, ma che al contrario in ogni stato si muove un complesso panorama sociale. Questo complesso panorama sociale è il motivo per cui ancora oggi è complicato affermare con certezza quale fosse la composizione di piazza delle rivolte kazake.

Ho letto parecchie buone analisi politiche sul Kazakistan (qui una di Yurii Colombo e qui la registrazione di un dibattito sul futuro del paese con Maria Chiara Franceschelli e Paolo Sorbello), ma nessuna conteneva alcun accenno alla situazione linguistica del paese. Questo silenzio mi è sembrato abbastanza stupefacente per due motivi. Il primo è legato a una questione di origine e interpretazione delle fonti. Il secondo ha a che vedere con lo specifico ruolo che la lingua kazaka, e in particolare il suo alfabeto, gioca nello scacchiere politico dell’area.

A beneficio di chi non si occupa di linguistica centro asiatica a tempo pieno, facciamo un riassunto della composizione del paese. Secondo gli ultimi dati (censimento del 2021), in Kazakistan vivono circa 18 milioni di persone, di cui il 70% circa si considera di etnia kazaka, il 20% di etnia russa, e il rimanente 10% è composto in prevalenza da persone provenienti da altri stati dell’Asia Centrale e del Caucaso. Nel 1997 una legge ha identificato russo e kazako come lingue ufficiali del paese. Se non consideriamo la possibilità che chi risponde al censimento possa non parlare né russo né kazako, nel 2007 il 26% della popolazione parlava russo, il 16% kazako, e il 58% era bilingue. Prendete questi dati con le pinze: chi ha mai lavorato con dei censimenti sa che questi sono spesso inaffidabili. Nel caso specifico della lingua, spesso non è chiaro come venga interpretata la competenza da chi compila e da chi risponde. Pensateci in questi termini: se domani vi chiedessero di indicare su un questionario statale se parlate inglese, senza darvi ulteriori informazioni, come rispondereste? Magari avete una laurea in lingua straniere e vi è stato ripetuto per anni che se non avete un livello C2 in una certificazione ufficiale allora non parlate davvero una lingua. Magari avete genitore 1 che vi parla in inglese giamaicano e voi capite tutto ma non sapete rispondere. Tirare la linea tra cosa conti come competenza linguistica e cosa no è una questione spinosa che non può prescindere da preferenze e identità individuali. Ad aggiungere ulteriore confusione c’è il fatto che le sezioni linguistiche dei censimenti sovietici (e degli stati eredi) sono state completamente ristrutturate nel tempo, e quindi i dati storici non sono esattamente comprabili a quelli odierni.

Nel 2007 l’ex presidente Nazarbayev ha dato l’avvio a una politica di trilinguismo che punta a rendere ugualmente competente in kazako, russo e inglese ogni persona educata nel sistema scolastico del paese. A 15 anni di distanza è probabile che questa politica abbia contribuito a un cambiamento delle percentuali riportate sopra. Nel 2023 il paese smetterà di utilizzare l’alfabeto cirillico e adotterà l’alfabeto latino.

Il russo come unica fonte?

Riguardo al primo punto, voglio dare il seguente caveat: questo è un blog di linguistica e capita che io mi occupi di Asia Centrale e che parli kazako. Chi ha coperto gli sviluppi della questione in tempo reale e ci ha costruito delle analisi ha fatto un lavoro incredibile e non è assolutamente mia intenzione sminuire questo lavoro. Penso che questo sia l’unico contesto in cui affrontare il problema della lingua d’origine delle fonti abbia senso. Una volta tolto il cappello da linguista mi rimetto alle analisi geopolitiche di chi ne sa più di me. Se sembra che sto mettendo le mani avanti, beh sì.

Non era necessariamente ovvio a chiunque abbia seguito gli sviluppi e i commenti sulla questione che le notizie pervenute in occidente sono arrivate quasi unicamente tramite il russo. Anche nel caso di media o attivisti kazaki, abbiamo unicamente avuto accesso al materiale prodotto o tradotto in questa lingua. Questo approccio nasce da una rappresentazione abbastanza monolitica delle culture centro asiatiche, a mio avviso abbastanza diffusa nel giornalismo e nell’accademia, ovvero dall’idea che la competenza in russo sia sufficiente ad avere una piena esperienza delle società locali. Questo approccio è storicamente sensato: la quasi totalità della produzione politica e scientifica in Asia Centrale era ed è ancora oggi prodotta in russo.

Se vi interessa monitorare l’evoluzione delle comunicazioni presidenziali sulle manifestazioni, il russo è sufficiente. Ma chiunque lavori con la popolazione kazaka sa che, se è vero che si può tranquillamente vivere nel paese parlando solo russo, è altrettanto vero che il kazako è usato molto e che alcune fasce demografiche lo preferiscono. E a maggior ragione potrebbero preferirlo in un contesto politico di questo tipo (ma ne parleremo dopo). Usare solo notizie in russo, quindi, anche quando prodotte dalla popolazione kazaka, significa scegliere di focalizzare la propria attenzione su una certa fetta demografica a scapito di altre. Questa decisione non è necessariamente un problema, e produrre un’analisi significa innanzitutto prendere una posizione. Nel caso in questione però sembra che spesso questa posizione fosse obbligata dalla mancanza di competenza in kazako e neache oggetto di critica.

La forza di un alfabeto

La questione della lingua in cui escono le notizie dal paese è relativamente banale per chi sta in occidente. Si potrebbe dire che va bene non stiamo rappresentando propriamente tutte le sfaccettature della società locale, ma comunque meglio che niente. E poi queste restrizioni sono sempre vere per chi fa giornalismo anche in relazione a paesi dove si usano lingue più studiate del kazako. Vero, ma sulla lingua kazaka negli ultimi anni si sta giocando un’importante partita politica e gli avvenimenti di gennaio 2022 hanno rinforzato questa impressione.

L’esempio più lampante del discorso politico sulla lingua kazaka arriva da Margarita Simonyan, capo redattore di Russia Today, un canale televisivo russo in lingua inglese finanziato dal Cremlino. A seguito della richiesta da parte del governo kazako di inviare le truppe dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva nel paese, Simonyan sui social un post dove elenca una serie di richieste da fare al Kazakistan come condizione per l’appoggio militare russo.

Le condizioni indicate qui sono il riconoscimento della Crimea come legittimamente parte della Russia (1), il ritorno del cirillico (2), l’ufficializzazione del russo come lingua di stato del Kazakistan (3), e la preservazione di un particolare tipo di istituzione educativa di lingua e ordinamento russi (4). Seguono altri post e rivendicazioni che non ho riportato. Per chi non si occupa di Asia centrale, il punto 2 potrebbe sembrare irrilevante, soprattutto a fronte degli sviluppi nel paese. Tuttavia, la lingua ha storicamente avuto un ruolo fondamentale nella costruzione delle entità nazionali, e la scelta di un sistema di scrittura contribuisce alla demarcazione ideologica di chi sta dentro o fuori la nazione.

In modo simile a quello dei paesi vicini, il kazako è stato scritto in caratteri arabi fino al 1929, quando il governo sovietico ha deciso di sostituire all’alfabeto arabo un alfabeto su base latina. Sulla campagna di latinizzazione degli alfabeti tradizionali delle lingue dell’Unione Sovietica ci si dovrà occupare in un altro post, ma basti sapere che nel caso delle popolazioni islamiche dell’Asia Centrale l’obiettivo del governo è quello di rompere la relazione culturale che le lega al mondo arabo. Questo viene fatto per evitare che l’Islam venga opposto ideologicamente al comunismo, dato che un sincretismo ideologico formalizzato di queste due posizioni arriverà solo con Ali Shariati dopo il ’60. Nel 1940, per fermare le rivendicazioni panturche, i sovietici cambiano ancora una volta il sistema di scrittura dell’area passando definitivamente al cirillico. Cambiare alfabeto di fatto toglie una piattaforma comunicativa ai gruppi intellettuali del paese e li isola dal resto della popolazione.

Nel 2007 l’ex presidente Nazarbayev annuncia la decisione di cambiare nuovamente l’alfabeto per tornare al latino. Questa nuove versione dell’alfabeto non è la stessa che era in uso nel 1929. A fine 2021 è stata identificata la versione definitiva che entrerà in vigore dal 2023. Nel discorso alla nazione, Nazarbayev cita a sostegno della decisione la necessità di aprire il Kazakistan alla globalizzazione: l’utilizzo di una scrittura latina faciliterà il collegamento del Paese con l’estero e l’accesso a internet. Viene anche suggerito che utilizzare un alfabeto latino incoraggerebbe l’apprendimento del kazako come lingua seconda all’estero. Saranno inoltre facilitati gli investimenti nel paese. Tutti questi argomenti, ovviamente, sono veri solo nel caso delle lingue scritte su base latina, perchè se la vostra lingua madre fosse scritta in alfabeto cirillico non avreste problemi col kazako contemporaneo. Insomma è chiaro che quando Nazarbayev parla di estero ha in mente solo alcuni interlocutori internazionali, e la lingua diventa un riferimento a questi paesi e alla loro posizione sul palcoscenico internazionale.

Il post di Margarita Simonyan ci dimostra che in Russia una certa parte della scena politica è ben consapevole del significato di questa riforma ortografica: eliminare il cirillico significa dare un colpo alla potenza culturale russa nell’area. Attenzione però a non semplificare la questione sui binari delle politiche governative. Una parte della popolazione kazaka si identifica come culturalmente e linguisticamente russa o slava: per queste persone il passaggio al latino significa una diminuzione del loro ruolo nella costruzione culturale del proprio paese. La popolazione più anziana, che è stata educata nel sistema sovietico, teme di incontrare problemi nel processo di rialfabetizzazione. Una certa parte della popolazione kazaka, inoltre, non vede necessariamente come un vantaggio l’idea di essere in maggior contatto con l’occidente, dal momento che la Cina ha grossi legami commerciali col paese. Insomma, come spesso accade in questioni di lingue nazionali, la situazione è meno chiara di quello che la politica ci vuole far credere.